"La sicurezza nei luoghi di lavoro non è altro che una montagna di carta inutile". Sin dagli albori della nascita del concetto di prevenzione e protezione la critica più feroce che i maggiori detrattori del sistema hanno formulato è sempre stata legata, per certi versi giustamente, alla eccessiva proliferazione di procedure burocratiche e, quindi, di carta. Quantità industriali di fogli inutili a fronte di problemi reali mai affrontati; ipotesi di pianificazione per lo più non lette e relegate nel cassetto dei sogni proibiti, se non fosse per il costo del consulente che le ha prodotte.
"Sfortunato il popolo che ha bisogno di eroi", insegnava tristemente Bertold Brecht; analogamente potremmo dire "sfortunati i tecnici che hanno bisogno di guru". Era divenuto necessario riflettere, cioè, su questo strano fenomeno che si è consolidato nell'ultimo ventennio e che ha visto sempre di più proliferare, prima in letteratura classica poi in quella tecnico scientifica, "guru profetici" che trasmettono il loro sapere (formale) in un libro dal titolo geniale ma dai contenuti di bassa qualità e con una totale assenza di innovazione.
Ma che grazie al titolo "intrigante" ne ha decretato la fortuna in termini di "vendite" (soprattutto on-line), portando così alla notorietà giovani sconosciuti o pensionati "outsider", costantemente osannati però dal marketing elettronico dei siti specializzati o dal colpo d'occhio grafico-testuale delle vetrine delle librerie, ormai veri e propri centri commerciali dell'economia della conoscenza.
Era necessario chiedersi, quindi, se l'intera fisionomia del saggismo tecnico scientifico contemporaneo sia oggi definita non più dalla "profondità ed originalità" del contenuto quanto piuttosto dalle esigenze di una doxa per indagini di mercato. La quale, al di là di un titolo più o meno indovinato, ispira la scelta dei temi, seleziona il profilo degli autori, detta le modalità del medium, "formatta" l'identità del pubblico.
Anche per i codici e la saggistica della salute e prevenzione sul lavoro si è realizzata una condizione analoga.
Dalla metà degli anni '90, infatti, dopo la pubblicazione in GU della c.d. "seiduesei", le case editrici, quelle tecniche in particolare, hanno decuplicato la produzione di volumi in materia (a cui ammetto di aver anch'io contribuito), nel nobile tentativo di colmare il "gap culturale" che le professioni del settore non nascondevano, anche senza imbarazzo.
Se le intenzioni iniziali potevano ritenersi positive, con il passare del tempo lo "spirito animale" del "business" ha definitivamente prevalso, producendo una quantità di libri (ma anche "pdf" digitali e software) davvero sbalorditiva. Colmando quantitativamente il vuoto disciplinare, ma con molti dubbi sulla reale capacità di aver migliorato - qualitativamente - il livello professionale.
Un pò come accade su Wikipedia: indubbiamente notevole la mole dei dati archiviati ma sulla cui qualità forti sono i dubbi. Dubbi che si ripresentano in generale proprio sull'informazione presente in internet, spesso non filtrata da analisi critiche e non verificata empiricamente (anche i blog, come questo che è stato creato, non ne sono esenti).
"Chi è venuto prima di noi ha fatto molto, ma non ha fatto tutto", ricordava Seneca. Quale migliore soluzione se non quella di "riesumare" la vecchia "terza pagina" dei giornali (quella della cultura per intendersi) ed adattarla alle nuove tecnologie 2.0? Una pagina, un blog nel nostro caso, in cui il critico letterario proponeva la sua visione del libro a potenziali lettori, stroncadone od esaltandone, a secondo dei casi, il contenuto e le forti emozioni che avrebbe provocato.
Se a questo ci aggiungiamo la possibilità per gli stessi lettori del libro di "postare" il proprio parere (nel giornalismo si usavano le c.d. "lettere al direttore"), od anche di discuterne con l'autore stesso del libro, potrebbe crearsi una nuova occasione di condivisione "ragionata" della cultura disciplinare e tecnica della protezione e prevenzione sui luoghi di lavoro. Senza lo strapotere del critico che recensisce, ne l'ordalia dei commenti incontrollati dei lettori.
Quasi una emulazione digitale della "Guida Michelin" dove, alla recensione della redazione possa sommarsi anche il parere e le segnalazioni dei diversi fruitori dei nuovi prodotti (cartacei, digitali e software), creando le "stelle" di gradimento tipico dei ristoranti o delle più accreditate riviste di critica culturale, senza però perdere la "bussola" della cognizione selettiva.
Il tutto gratuitamente, con il solo scopo di condividere consapevolmente quel sapere che in tutti questi anni si è stratificato e che, ogni giorno di più, ha contribuito a ridurre il numero di morti bianche che, inesorabilmente, si verificano nel nostro paese.
O come direbbe molto più prosaicamente l'arcinoto scrittore latinoamericano Jorge Luis Borges "non voglio morire in una lingua che non conosco"!
(danverde).
"Sfortunato il popolo che ha bisogno di eroi", insegnava tristemente Bertold Brecht; analogamente potremmo dire "sfortunati i tecnici che hanno bisogno di guru". Era divenuto necessario riflettere, cioè, su questo strano fenomeno che si è consolidato nell'ultimo ventennio e che ha visto sempre di più proliferare, prima in letteratura classica poi in quella tecnico scientifica, "guru profetici" che trasmettono il loro sapere (formale) in un libro dal titolo geniale ma dai contenuti di bassa qualità e con una totale assenza di innovazione.
Ma che grazie al titolo "intrigante" ne ha decretato la fortuna in termini di "vendite" (soprattutto on-line), portando così alla notorietà giovani sconosciuti o pensionati "outsider", costantemente osannati però dal marketing elettronico dei siti specializzati o dal colpo d'occhio grafico-testuale delle vetrine delle librerie, ormai veri e propri centri commerciali dell'economia della conoscenza.
Era necessario chiedersi, quindi, se l'intera fisionomia del saggismo tecnico scientifico contemporaneo sia oggi definita non più dalla "profondità ed originalità" del contenuto quanto piuttosto dalle esigenze di una doxa per indagini di mercato. La quale, al di là di un titolo più o meno indovinato, ispira la scelta dei temi, seleziona il profilo degli autori, detta le modalità del medium, "formatta" l'identità del pubblico.
Anche per i codici e la saggistica della salute e prevenzione sul lavoro si è realizzata una condizione analoga.
Dalla metà degli anni '90, infatti, dopo la pubblicazione in GU della c.d. "seiduesei", le case editrici, quelle tecniche in particolare, hanno decuplicato la produzione di volumi in materia (a cui ammetto di aver anch'io contribuito), nel nobile tentativo di colmare il "gap culturale" che le professioni del settore non nascondevano, anche senza imbarazzo.
Se le intenzioni iniziali potevano ritenersi positive, con il passare del tempo lo "spirito animale" del "business" ha definitivamente prevalso, producendo una quantità di libri (ma anche "pdf" digitali e software) davvero sbalorditiva. Colmando quantitativamente il vuoto disciplinare, ma con molti dubbi sulla reale capacità di aver migliorato - qualitativamente - il livello professionale.
Un pò come accade su Wikipedia: indubbiamente notevole la mole dei dati archiviati ma sulla cui qualità forti sono i dubbi. Dubbi che si ripresentano in generale proprio sull'informazione presente in internet, spesso non filtrata da analisi critiche e non verificata empiricamente (anche i blog, come questo che è stato creato, non ne sono esenti).
"Chi è venuto prima di noi ha fatto molto, ma non ha fatto tutto", ricordava Seneca. Quale migliore soluzione se non quella di "riesumare" la vecchia "terza pagina" dei giornali (quella della cultura per intendersi) ed adattarla alle nuove tecnologie 2.0? Una pagina, un blog nel nostro caso, in cui il critico letterario proponeva la sua visione del libro a potenziali lettori, stroncadone od esaltandone, a secondo dei casi, il contenuto e le forti emozioni che avrebbe provocato.
Se a questo ci aggiungiamo la possibilità per gli stessi lettori del libro di "postare" il proprio parere (nel giornalismo si usavano le c.d. "lettere al direttore"), od anche di discuterne con l'autore stesso del libro, potrebbe crearsi una nuova occasione di condivisione "ragionata" della cultura disciplinare e tecnica della protezione e prevenzione sui luoghi di lavoro. Senza lo strapotere del critico che recensisce, ne l'ordalia dei commenti incontrollati dei lettori.
Quasi una emulazione digitale della "Guida Michelin" dove, alla recensione della redazione possa sommarsi anche il parere e le segnalazioni dei diversi fruitori dei nuovi prodotti (cartacei, digitali e software), creando le "stelle" di gradimento tipico dei ristoranti o delle più accreditate riviste di critica culturale, senza però perdere la "bussola" della cognizione selettiva.
Il tutto gratuitamente, con il solo scopo di condividere consapevolmente quel sapere che in tutti questi anni si è stratificato e che, ogni giorno di più, ha contribuito a ridurre il numero di morti bianche che, inesorabilmente, si verificano nel nostro paese.
O come direbbe molto più prosaicamente l'arcinoto scrittore latinoamericano Jorge Luis Borges "non voglio morire in una lingua che non conosco"!
(danverde).